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La luce nella poesia di oggi, piccole riflessioni impossibili e necessariamente circoscritte di un poeta


 

La luce nella poesia di oggi (conferenza)

piccole riflessioni impossibili e necessariamente circoscritte di un poeta.

Il termine “luce” deriva dal latino “Lūx lūcis“, che a sua volta recupera una radice arcaica louk-s, affine all’aggettivo greco Leukós, che stava per brillante, bianco”, quindi la luce è una radiazione elettromagnetica costituita da determinate lunghezze d’onda, alla quale è dovuta la possibilità da parte dell’occhio di distinguere gli oggetti.

Per una libera discussione sulla luce nella poesia, potremmo partire da qualsiasi punto di vista e da qualsiasi sponda filosofica e ci troveremmo in un mare di guai per l’ampiezza illimitata del tema. Stesso rischio lo correremmo anche se ristringessimo il campo alla poesia contemporanea.

I filosofi greci, ad esempio, sarà difficile da credersi, pensavano già alla luce come principio generatore e di conoscenza. Senza luce né si vive, né si conosce. Dante, che dalla filosofia greca e da quei pensatori attinge e rielabora, afferma sin dai primi versi del primo canto del Paradiso (dopo averne parlato come fenomeno fisico “di rifrazione” già nel Purgatorio)

La gloria di colui che tutto move

Per l’universo penetra e risplende

In una parte più e meno altrove.

La luce, sorgente, principio dell’essere, comprende tutte le cose, è forma perfetta, bellezza suprema, metafora dello spirito, identificazione con Dio, armonia assoluta.

Dante sale attraverso i nove cieli e man mano che sale ogni parvenza umana e terrena scompare e le anime dei beati appaiono come fiamme, splendori, luci, in un clima sempre più rarefatto e luminoso, fino all’Empireo dove, assistito da S.Bernardo e non più da Beatrice, può contemplare la Vergine ed i beati e infine, in un’illuminazione improvvisa e sconvolgente, immergersi nella visione di Dio. Negli ultimi canti del Paradiso non vi sono più paesaggi materiali e Dante tenta di esprimere con parole una esperienza indicibile: le visioni e i rapimenti mistici sono descritti da musiche, luci, colori, forme astratte, figure geometriche di straordinaria nitidezza ed efficacia figurativa.

Ma come si raffigurava l’uomo medievale lo spirito, quella vita piena, integra, beata, che avrebbe sperimentato solo dopo il suo pellegrinaggio terreno? Semplicemente come luce, luce sfavillante. Nei mistici medievali, da Alberto Magno a S. Bonaventura, da Roberto Grossatesta a Tommaso d’Aquino, la luce è forma sostanziale dei corpi, la cui partecipazione all’essere è direttamente proporzionale all’irradiazione di luce che essi ricevono.

Nell’Inferno, la struttura si regge soprattutto sull’assenza della luce, che Dante sottolinea con tre aggettivi:

Oscura e profonda era e nebulosa

tanto che, per ficcar lo viso a fondo

io non vi discernea alcuna cosa»

Ma, proprio analizzando questo mondo infernale costituito dal buio più intenso interno ed esterno, scopriremmo comunque l’infinito attraverso il precipitarvi di Lucifero (alla lettera Luci – fero = portatore di luce) Il principe e il più bello degli angeli, che promosse la loro ribellione. Sconfitto dall’arcangelo Michele. Questo sta a significare solamente che di luce si può peccare o che, in realtà, luci ed ombre sono due parti comuni di un’unica necessità di conoscenza e, come tali, si scambiano in un continuum ininterrotto? Quale significato dare alla visione mistica dell’Angelo più luminoso relegato nel buio più profondo e quanto questo rappresenta la stessa “costituzione” della nostra Psiche Una notte nell’oscurità…”Psiche, pensando che Eros fosse il mostro a cui era stata destinata ed istigata dalle sorelle maligne ed invidiose, armata di un coltello si avvicina al dio che dorme facendosi luce (luce, vedere-conoscenza) con una lampada ad olio” Ha, infine, qualcosa a che vedere con la materia oscura straordinariamente più grande e viva di ciò (poco) che conosciamo perché osservabile e in luce?

Per una libera discussione sulla luce nella poesia potremmo altresì iniziare, con il desiderio di semplificazione ma senza migliore fortuna di restringere il campo, dall’ Archimede Pitagorico disneyano che, in lingua originale è Gyro Gearloose (Gyro = anello, cerchio, spirale), quindi forma perfetta o tendente all’infinito e Gearloose (= “ingranaggi liberi”) come le possibilità del pensiero laico e post rivoluzione illuminista, appunto.

Si potrebbe così, tornando alla poesia, rimanendo solo in Italia e con un “salto” troppo ampio, inadeguato e astorico, passare al “mi illumino di immenso” di Ungaretti, all’idea di luce dell’universo poetico e sostanzialmente circolare di Montale, volutamente ed erroneamente trascurando il concetto di luce in poeti precedenti come Pascoli e Carducci e, a seguire, Saba, Quasimodo, Luzi ecc.

Ho l’opinione e il sentimento che ci discosteremmo pochissimo da un concetto metafisico della, intorno, e sulla luce e andremmo oltre, so bene di esagerare, solo “a suon di metafore” e prestiti dalla natura circostante.

La distanza tra noi e la poetica greca è probabilmente infinita e potremmo solo concepirla in termini di “parsec”, ma potremmo scoprire che la distanza reale è solo di pochi millimetri letterari e non escludo che il concetto di luce come principio generatore e di conoscenza sia ancora il più moderno e il più adatto ad una poesia e a dei poeti che sulla luce ne sanno (anche se fingono ignoranza) molto di più. Sappiamo che la luce è rapida, si piega non solo se guardiano la luna o le stelle, ma anche se guardiamo oggetti distanti pochi metri, sappiamo che la luce genera ombre ma anche questa certezza sta sfumando: la materia oscura impregna (nel vero senso della parola) l’universo e che la stessa definizione di una creazione spontanea, divina o casuale pecca di presunzione. Sappiamo che la luce varia in accordo con il tempo, ma sappiamo anche che è vero il contrario e che questi due concetti sono provvisori, sappiamo che il nostro guardare è quanto di più limitato e soggettivo esistente, che il nostro cielo e la natura che dentro vi si muove è un assaggio falsato di un universo indescrivibile, che il contesto è un significante e non un significato e che lo sfondo possiede tanta “anima” quanto la figura, che un mistero svelato è solo una porta socchiusa verso un altro mistero e che il futuro si scrive con le domande e non con le risposte…sappiamo anche che, se il non credere è un limite, il credere può esser simile, in talune esagerazioni religiose, all’utopia astrologica. Sappiamo infine, con la scoperta recente della psicanalisi, che possediamo un luogo laico (e un logos) indescrivibilmente vasto quanto individuale e unico.

Eppure se i grandi poeti sono tutti scomparsi (viva tutti loro), ci attardiamo ad usare modi poetici che non sono all’altezza delle nostre conoscenze acquisite e, quindi, dei compiti futuri riservati a questo campo artistico. Ipotizzo che anche altri campi artistici (uso le parole campo e campi perché arare è forse l’unica risorsa da offrire alle nostre penne) risentano della stessa insufficienza.

ABNER ROSSI

sabato 12 settembre 2015

 

2 risposte su “La luce nella poesia di oggi, piccole riflessioni impossibili e necessariamente circoscritte di un poeta”

Leonardo ha scritto un libro sulla luce. Andato perduto. Possiamo dedurre qualcosa del suo libro da questo: dallo sfumato. Per Leonardo lo sfumato procede da qualcosa di inconciliabile chiamato chiaroscuro: l’introduzione stessa alla luce. Quindi il chiaroscuro non procede dall’ombra. Che bisogno ha un poeta dell’illuminazione, di illuminare le cose, se l’ombra non sta dinanzi? Leonardo ci insegna questo: l’ombra non sta dinanzi altrimenti mai per lui sarebbe giunto lo sfumato. Ma lo sfumato cos’è? È la gradazione della luce (il ritmo, il tono, il timbro) ossia l’introduzione della Pentecoste che, in altre parole, si chiama intendimento. La questione dunque è quella dell’ intendere. Come intendere? Non certo con la visione delle cose che per troppa luce a volte acceca o reca la passione, il pathos. Si intende, dunque, con l’udito. Infatti nel Paradiso Dio non si vede ma si intende. E si intende non con gli occhi ma con l’udito. Quindi la luce più che vedersi si ascolta. Si ascolta come hanno fatto Dante e Leonardo. E questo è il compito del poeta oggi.

apprezzo, ma in Toscana e in provincia di Firenze, si chiama “intendere” non l’ascoltare ma il comprendere. Ho letto Leonardo e lo sfumato (vivo nella Chiesa dove Leonardo ha dipinto l’Annunciazione e dove se ne conserva una copia) è “il distante” ed è quanto di più lontano esista in senso spirituale, soprattutto. Le ombre, nella Annunciazione (ad esempio) sono prodotte dal punto dove battono tutti i fuochi delle prospettive.

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